«Ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile ad un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52)
N.1 - Gennaio-Febbraio 2001
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Lettere

Animazione tardiva e "pillola del giorno dopo"

Spettabile Redazione,
siamo un giovane medico ed un insegnante di filosofia cattolici, particolarmente interessati, per motivi etici e professionali, al recente dibattito sulla cosiddetta "pillola del giorno dopo". Essendo a conoscenza del concetto tomista di "animazione tardiva" e sapendolo condiviso da altri esponenti della cultura filosofica e teologica contemporanei dell’Aquinate, vorremmo sapere quale sia la considerazione attuale di tale problema e se abbia ancora un qualche riscontro tra la cultura cattolica e scientifica odierna o se venga ritenuto esclusivamente un principio di derivazione aristotelica ormai superato.
Grati per la Vostra attenzione e per l’eventuale risposta, porgiamo i più cordiali saluti.

Francesco Comino
e Antonio Ferrero (via e-mail)


La richiesta di chiarificazione da parte di un giovane medico e di un docente di filosofia circa il problema della "pillola del giorno dopo", riguarda due questioni: una storica e una dottrinale. Quanto alla prima, cioè per quanto attiene alla "animazione tardiva" come fu proposta da Aristotele e successivamente da San Tommaso d’Aquino, rispondo subito che Aristotele, nella sua opera biologica De generatione animalium (II, 3,736 b 28-29), afferma che l’embrione maschile "riceve" l’anima spirituale solamente dopo il 40mo giorno dalla fecondazione; quello femminile dopo 90 giorni. E ciò, a suo parere, perché solo dopo questo periodo l’embrione raggiunge gli organi di riproduzione e la distinzione del sesso. L’Aquinate (Summa Theol. I, I, 76, 8) ne seguì l’opinione, ma tra i due filosofi si deve notare una certa differenza: Aristotele ammetteva che l’avvento dello spirito, dopo il 40mo e rispettivamente dopo il 90mo giorno, fosse dovuto ad una certa capacità dell’embrione vivente (dapprima come materia, poi come vegetale, poi come vivente animale) di evolversi fino ad un’animazione strettamente "intellettiva", oggi diremmo "spirituale". Ma Aristotele ammise che l’intelletto entra nell’embrione vivente "dal di fuori", come "attraverso una porta". Come si può vedere, il filosofo greco è aperto alla spiritualità dell’anima, ma in termini non chiari (cfr. De anima, III, 5). San Tommaso invece pur ammettendo che la formazione biologica dell’embrione umano è opera esclusiva del principio vegetativo e successivamente di quello sensitivo, insegna che Dio crea l’anima immortale e la infonde nel vivente umano biologicamente completo, ma non ancora totalmente "umano". Cosicché lo spirito si aggregherebbe come nuova perfezione umana che eccede la natura biologica.
Ciò detto siano consentite due osservazioni: a) Nessuno deve stupirsi di questa soluzione al problema umano, data la rudimentale nozione dell’embriologia. Nonostante lo studio avanzato della medicina nelle università del Medioevo (Padova soprattutto), nel secolo XIII i testi correnti in materia erano gli scritti biologici aristotelici e quelli di qualche arabo attraverso la scuola di Salerno. b) L’Aquinate non deduceva dalla sua teoria la liceità dell’aborto volontario (come se si trattasse di eliminazione di materia vivente non-umana): infatti secondo le sue intuizioni filosofiche l’anima che viene creata "tardivamente" non contribuisce in nulla all’ulteriore sviluppo embriologico umano. L’embrione è "umano" biologicamente, sin dall’inizio. È proprio a motivo del carattere "umano" dell’embrione che l’anima può unirsi ad esso.
Chi pertanto oggi volesse propugnare la liceità dell’aborto "procurato" basandosi sull’embriologia tomistica non è bene informato (cfr. Horst Seidl: Zur Geistseele im menschlischen Embryo nach Aristoteles, Albert d. Gr. und Thomas v. Aquin in Salz. Jahrbuch f. Phil. 31, 1986 pp. 37-63).
Passo ora alla questione di carattere dottrinale ossia embriologico. Si sa che secondo qualche autore l’embrione avrebbe natura strettamente umana soltanto dopo il cosiddetto "annidamento" ossia dopo circa dodici giorni dalla fecondazione; secondo questa teoria (che stranamente assomiglia a quella medioevale) nei primi giorni l’essere vivente concepito non sarebbe un organismo, bensì un insieme di cellule che si riproducono in ordine geometrico: 1, 2, 4, 8, 16, 32, 64 eccetera, e che non posseggono nessuna individualità. Così è stato inventato il vocabolo "pre-embrione" per sfuggire ad importanti problemi scientifici e attenersi alle richieste di una società di facili costumi.
La verità scientifica, oggi definitivamente acquisita al sapere, è che dall’incontro dell’ovocito con lo spermatozoo ha origine un organismo vivente che è dotato della cosiddetta "informazione genetica" ossia dell’intero programma di sviluppo individuale: nell’ADN sin dall’inizio è prevista la statura, il colore della pelle, quello degli occhi e dei capelli, le dimensioni del capo e via dicendo. Anche nel caso che le prime cellule si separassero per la formazione dei gemelli, il programma o "informazione genetica" è predeterminato. Ovviamente ciò non risulta dalla osservazione al microscopio: chi osservasse la vita nei suoi primi istanti non vedrebbe che un "grumo di materia". Ma la realtà si misura con ciò che mentre "è", "sarà". Come già osservava un autore cristiano del III sec., Tertulliano, "is est qui erit" (esiste già colui che sarà): l’uomo. Lo studio del vivente non è paragonabile alla spettrografia di un cristallo. La favola del "grumo di materia" è molto diffusa ma non è scientifica e riflette una mentalità "interessata" oppure volutamente chiusa al problema di fondo.
Don Dario Composta, S.D.B.

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